Luciano Gaudenzio - La Busa delle Vette, nel regno dei fiori e delle nebbie, Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi - Parte Prima

Nuvole cangianti nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi
Fioriture copiose nella nebbia della Busa delle Vette
Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi.
Quanto tempo desideravo conoscerle.
Meglio.
Perchè Belluno e le sue montagne sono vicine. Perchè alcuni di questi luoghi li ho già frequentati in passato e mi avevano affascinato. Perchè nelle mie assidue frequentazioni nelle Dolomiti Friulane le avevo spesso vicine, separate alle volte da una profonda vallata. Altre, da una linea di creste a cui difficilmente sapevo dare il nome. Neanche quando, disponendo di ore davanti a me, in attesa di un tramonto estivo, mi sforzavo di interpretare una cartina che il più delle volte non mi era amica e difficilmente me ne svelava il nome.
Perchè le Bellunesi hanno da sempre il fascino di specie vegetali leggendarie. Un amante della flora dei ghiaioni non può non avere il desiderio di vedere almeno una volta nella vita il minuto, endemico e misterioso Alisso dell'Obir. Perchè le Dolomiti Bellunesi, sono anche molto lontane. Richiedono quasi sempre trekking importanti e faticosi. Ma alla luce della missione che ho vissuto per L'Altro Versante, credetemi, i perchè elencati diventano davvero esigui rispetto alla realtà e ripagano ampiamente gli sforzi fatti per superare i decisi dislivelli.
Fioriture di Anemone narcissiflora nella Busa delle Vette
Per questa nuova missione, il raro endemismo guida deciso la mia pianificazione. Non ci sono dubbi o esitazioni. Finalmente lo conoscerò.
Sono sicuro, sarà un incontro intenso e appagante.
L'Alisso fiorisce normalmente agli inizi di luglio. Purtroppo in quegli stessi giorni dovremo essere sulla catena del Lagorai. Ci tocca quindi anticipare la missione sperando che il gran caldo abbia riscaldato i ghiaioni in cui cresce e favorito una precoce fioritura. Le notizie che arrivano direttamente dal Parco, sono confortanti e confermano le nostre speranze.
Rifugio Dal Piaz
L'appuntamento è a Passo Croce d'Aune con alcune guardie del Parco e i gestori del Rifugio Dal Piaz, Mirco e Erika. L'immediata sintonia è quella che si forma tra persone che amano la montagna e la vivono "sul campo". La vegetazione in questo periodo è straripante. Geranei selvatici, anemoni narciso, diverse specie di orchidee, gigli bianchi di San Antonio e arancione di San Giovanni, una vera e propria tavolozza di colore che vivacizza il velo di nebbia posato sulle montagne circostanti. Lungo il tragitto che ci porta al rifugio, Mirco e Erika ci raccontano della loro coraggiosa decisione di lasciare i loro rispettivi sicuri lavori da dipendenti e prendere in gestione il rifugio. Di come l'importante dislivello limiti l'afflusso alla struttura, soprattutto fuori stagione. Di come il clima sia così difficile da queste parti, con nebbie quasi onnipresenti a limitare lo sguardo che altrimenti spazierebbe importante dall'Altopiano di Asiago alle Pale di San Martino, dal Lagorai alle Dolomiti Friulane e ancora fino alla laguna di Venezia.
Grande ammirazione per tutte quelle persone che, come loro, decidono,  tra mille difficoltà e ahimè burocrazia "all'italiana" di essere liberi e realizzare il loro sogno.
Arrivati al rifugio, rapidi, sistemiamo gli zaini e a tavola pianifichiamo le tre giornate che abbiamo davanti. Mirco, vista la scarsità di ospiti presenti e la quasi certezza che nel pomeriggio di un giorno infrasettimanale non ne giungeranno altri, si offre di portarci a scoprire, nebbia permettendo, alcuni angoli nascosti delle cime che circondano la Busa delle Vette, in particolare l'anfiteatro ghiaioso di Cima 12.
Alisso dell'Obir
Partendo dal rifugio in pochi metri si guadagna il Passo delle Vette Grandi (1.994 mt): da qui lo sguardo spazia sull'anfiteatro della Busa delle Vette, testimone antico di un importante ghiacciaio. Predomina il verde punteggiato dal giallo dei botton d'oro e dal bianco dell'Anemone narcissiflora. Quando la nebbia che s'insinua dalla Val Belluna permette di intravedere, sembra che il bianco dei ghiaioni sia discontinuo, macchiato ovunque da una miriade di occhietti gialli.
E' lui! lo percepisco al volo e ne ho la conferma immediata avvicinandomi.
Il nome Obir deriva dal tedesco Hoch Obir, una nota cima delle Alpi Karawanken in cui questa piccola piantina ha il suo areale principale, ovviamente assieme alle Prealpi bellunesi e a poche modeste aree delle Alpi Giulie, in Friuli. La nebbia impedisce di realizzare degli scatti ambientati così mi limito a realizzare delle immagini ravvicinate sperando di poter rimediare nei giorni successivi.
Sono ovviamente emozionato e i miei compagni rispettano tutto il tempo che mi prendo per fotografarle e osservarle finalmente dal vivo.
Nel frattempo la nebbia scende intensa nella Busa. Ricopre dolcemente ma decisamente dapprima il fondo dell'anfiteatro per poi alzarsi e privarci della suggestione delle montagne che ci circondano.

Formazioni rocciose immerse nella nebbia
Cima 12 (prima)
Mirco ci guida sicuro dapprima attraverso sentieri ben segnati, poi, abbandonandoli, per tracce su ghiaioni ripidi.
Nel silenzio ovattato incrinato solo dal rumore dei nostri passi sulle scaglie di pietra del ghiaione che stiamo percorrendo, all'improvviso un fischio sibilato.
Ci fermiamo, e a pochi passi da noi si staglia la forma scura e inconfondibile di un camoscio.
Poi l'ombra svanisce verso l'alto e viene rapidamente inghiottita dalla nebbia.
Rimane solo il silenzio e la speranza che raggiunta la cima riusciamo a oltrepassare questa cortina fumosa.
Cima 12 (dopo)
Il cielo sopra di noi sembra maggiormente azzurro. Forse è solo un'illusione. Forse no.
Dapprima si alza una leggera brezza, poi alcuni squarci azzurri nel cielo e finalmente qualche raggio di sole s'insinua e illumina i ghiaioni e le creste di Cima 12.
Non sono cime vistose ed eleganti. Ma sono suggestive soprattutto quando, abbandonata la cima, Mirco ci conduce verso delle formazioni rocciose particolari, lastre di montagna appoggiate una sopra l'altra, quasi fossero dei libri. La memoria scorre veloce verso altri luoghi che me le ricordano intensamente, altre emozioni vissute in alta quota. Ai libri di San Daniele sopra Casso nelle Dolomiti Friulane e al "giardino roccioso" del M.te San Fior, nell'altopiano di Asiago.
Sono le nove di sera e la luce diretta del sole è svanita ormai da tempo.
Le nuvole sono però leggermente tinte di un rosa pallido e la nebbia, mai del tutto sparita, rende suggestivo questo paesaggio, fatto di rocce spezzate e apparente disordine.

Nei pressi di Cima 12
Poi, in breve, dopo appena pochi scatti l'atmosfera svanisce e rimangono solo silenzio e nebbia.
Il giorno successivo ci alziamo presto, verso le 3.30.
Usciti dal rifugio, rivolgiamo lo sguardo verso il cielo e le vette circostanti e abbiamo subito forte la sensazione che sarà una giornata lunga e faticosa, ma intensa e appagante.

Alba sul Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi












Maurizio Biancarelli - L'immagine raccontata- Una storia silenziosa



Geranium argenteum

Il Geranio argentino


Mi ha sempre affascinato la ricerca di specie botaniche montane. Spesso minute, in apparenza fragili e delicate, vivono in condizioni estreme, in luoghi difficili e inospitali: in mezzo alle pietraie, nelle fessure delle rocce, nelle forre umide, nelle vallette nivali, depressioni dove la neve resiste per gran parte dell’anno. 
La loro capacità di adattamento a freddo, vento, siccità ha del proverbiale: riescono a cavarsela e prosperare là dove le piante di valle fallirebbero miseramente. 
Per esempio riescono ad attivare la fotosintesi a temperature molto basse, di poco superiori allo zero, hanno apparati radicali molto sviluppati che si infiltrano in profondità attraverso rocce o ghiaioni fino a raggiungere il terreno, rivestono le foglie di una fitta peluria per limitare la traspirazione e resistere alla siccità estiva e alle abbondanti radiazioni ultraviolette delle alte quote o acquisiscono una forma a cuscinetto, per meglio resistere al vento e al peso della neve.
I loro fiori sono spesso grandi e dai colori intensi: gli insetti impollinatori sono scarsi lassù e non si può rischiare di passare inosservati.
Può capitare che in montagna la breve stagione vegetativa sia compromessa dal cattivo tempo, per questo la maggior parte delle piante di altitudine è specie perenne. Se un anno va male, pazienza, la pianta non fiorisce o non fruttifica ma non muore ed è pronta a riprovare l’anno successivo.
Questi straordinari esseri viventi raccontano di sé: non si muovono e non gridano, ma le loro storie mute non sono per questo meno intriganti e ci riconducono a tempi e climi assai lontani. 
Il geranio argentino, Geranium argenteum, è una vera rarità per l’Appennino centrale, risulta infatti presente solo sui Monti Sibillini, dove era stato rinvenuto per la prima volta nell’ottocento dal botanico, medico e naturalista Bertoloni e poi non più trovato per lunghissimo tempo. Sembrava estinto, ma negli anni passati è stato riscoperto e ora questa piccola, elegante pianta è tornata a impreziosire la flora delle montagne della Sibilla.
In Italia è rara dovunque anche se presente sporadicamente in Carnia, nel Bellunese, nel Bresciano, nelle Apuane e in alcune cime dell’Appennino settentrionale. 
È probabilmente una specie che aveva più vasta diffusione prima dell’ultima glaciazione, visto che attualmente vive solo nelle catene marginali delle Alpi e in poche aree dell’Appennino che non furono mai ricoperte dai ghiacciai del Quaternario.


Bruno D'Amicis - Alla scoperta delle “altre” Dolomiti: i Piani Eterni nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, Veneto

Quando il mio amico Bruno Boz, biologo e fotografo naturalista di Feltre, mi aveva parlato delle “sue” Dolomiti (delle Vette Feltrine e del gruppo del Cimonega... dei Piani Eterni e dei Monti del Sole: in due parole, del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi) e di quanto queste fossero selvagge e sconosciute, mi aveva profondamente colpito, accendendo in me una grande curiosità e la voglia di andarle a visitare. Bruno mi aveva raccontato infatti di pareti giganti e dislivelli pazzeschi, foreste di larici secolari e gole molto profonde dove scorrevano fiumi meravigliosi, dalle acque pulitissime. Montagne ricche di fauna e di specie endemiche o rare altrove, eppure poco frequentate dal turismo di massa, che invece ha colonizzato gran parte delle arcinote
Dolomiti considerate D.O.C. della parte settentrionale della Provincia di Belluno. Era deciso: avrei visitato il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi nel 2015 con L’Altro Versante!

E così, prima che arrivasse la scorsa primavera, con Bruno abbiamo pianificato una prima breve missione, quasi una ricognizione, da effettuarsi nei primi giorni di Giugno. Sapevamo già che una non sarebbe stata sufficiente. Abbiamo scelto di iniziare dalla zona dei Piani Eterni e poi di fare una visita (aggiungerei “doverosa”) alle valli dei fiumi Mis e Ardo.


I Piani Eterni, altopiano dal nome piuttosto “importante”, si sviluppano a a circa 1700 metri di quota. Si tratta di una vasta conca di origine carsica circondata da alte montagne. Un mare di erba color smeraldo e fischi di marmotte delimitato da un piano sollevato con affioramenti calcarei e “campi carreggiati” a sud (qui ci sono tantissime cavità e grotte: gli speleologi sono già scesi oltre 1000 metri sottoterra!) e ripide montagne di strano calcare rossastro a nord. Larici e abeti a sud, aquile e camosci a nord. In mezzo due malghe, Erera e Brendol, e una bellissima stalla del Settecento restaurata di recente.

Tutto stupendo, sì, ma prima di arrivare ad ammirare i Piani Eterni, uno deve ben faticare gli oltre mille metri di dislivello che attendono l'escursionista che parte dalla Val Canzoi. Niente di difficile, capiamoci, si tratta solo una lunga e tortuosa strada, a tratti asfaltata, che si inerpica (un po' noiosamente devo aggiungere) su uno dei pendii della valle del limpido torrente Caorame e sopra il lago artificiale della Stua.
Io e (l'altro) Bruno eravamo pronti ad affrontarla a ogni costo, ma, per fortuna, grazie alla generosa collaborazione del Parco Nazionale e del Corpo Forestale, oltre all'ospitalità in quota è stato anche offerto un passaggio in auto, non a noi... ma ai nostri zaini pesantissimi. Il mattino che siamo partiti, ho quindi fatto conoscenza con Enrico Vettorazzo del Parco Nazionale e con due simpaticissimi forestali, il comandante Dalla Rosa e la guardia Fritz. Last but not least, ad accompagnarci c'era anche l'amico Giacomo De Donà, giovane guida del Parco nonché fotografo dotatissimo e con “il cuore al posto giusto”. Così siamo partiti, zaini, bottiglie di vino e pacchi di pasta in fuoristrada con i forestali. Noi quattro invece a piedi, consapevoli della fatica che ci attendeva, ma anche felici di camminare, una tantum, senza alcun peso sulle spalle.

Anche se la salita è stata lunga, nonostante le piacevoli conversazioni e gli incontri con tante specie, ve la faccio comunque breve. Quasi alla fine, staccandoci dalla strada e prendendo il sentiero del Porzil, ci siamo presto trovati nel bosco, odore di muschi e occhi attenti a francolini e galli cedroni... Nessun animale si è rivelato al nostro sguardo, ma l'attenzione è stata premiata da una rarità, la Cortusa di Mattioli, una bella primulacea scovata da Enrico. Ancora qualche centinaio di metri e siamo tornati a vedere la luce. Tanta. Un mare di luce! Quello è stato il primo impatto con i Piani Eterni: la luce che in montagne e valli così ripide e profonde è rarità riempie questa terrazza naturale che sa tanto di piccolo Paradiso.


La malga Brendol, gestita dai Forestali, è semplicemente stupenda, la base ideale per esplorare nei giorni successivi i dintorni dei Piani Eterni. La giornata è ancora lunga e così, una volta cambiate le magliette, decidiamo di proseguire poco oltre e andare a vedere se in uno stagno a breve distanza ci sia qualche anfibio interessante. Veniamo ripagati da una coppia di rospi smeraldini in accoppiamento, che, a questa altitudine, fa notizia. Anche se una missione per AV si concentra al 90% sui paesaggi, io, da biologo, non riesco a contenere la mia curiosità e continue domande sulle tante specie animali che sembrano frequentare la zona. Quando rientriamo alla malga, gli amici forestali ci accolgono con un piatto di pasta fumante e un buon rosso: il Paradiso, davvero. Dopo pranzo il cielo minaccia pioggia e si sentono i primi tuoni. Non c'è altro da fare, se non sdraiarsi un attimo in branda e recuperare un po' di forze, ascoltando assai piacevolmente il temporale che infuria fuori dalla finestra.

Dopo un paio d'ore, la pioggia ha smesso, ma l'aria è rimasta molto carica di umidità e il cielo pieno di foschia. Non sarà il tramonto che attendevo, meglio quindi ripiegare su dettagli e sugli abitanti dell'altopiano. Mi avvicino a una marmotta tra i ranuncoli, strisciando malvolentieri nell'erba bagnata. Poi, con Bruno e Giacomo, cerchiamo timidi marassi tra le rocce e i cespugli di mugo fino al tramonto. Qualche scatto poco efficace al paesaggio (ci sarà da rifarsi nei giorni successivi!) ed è già ora di cena. Tra un boccone e l'altro, abbiamo ammirato un branco di cerve fuori dalla finestra che scendevano a brucare nella piana insieme a una fitta nebbiolina. All'ora blu, la magia si è compiuta. Seppure io non riuscissi più a vederle, le cerve sono rimaste impressionate sul sensore della mia reflex insieme all'azzurro intenso della luce che svaniva. Ero soddisfatto di quanto mostrava il display della mia macchina: ancora una volta avevo potuto assistere a quell'attimo fugace di eternità che rende questo nostro lavoro così affascinante.