Luciano Gaudenzio - L'altopiano dei narcisi, Pian de Coltura, Lentiai, Belluno, Veneto



Altre storie erano pronte per essere svelate. Ma questa che vi sto raccontando porta con sè i primi tepori della bella stagione, albe bagnate di rugiada, intensi profumi primaverili.
E non parlo a caso di profumo.
Assieme al caro amico e collega Bruno (D'Amicis) visiteremo durante il mese di giugno, il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Un territorio montuoso straordinariamente ricco di biodiversità. Davvero impegnativo e difficile però. Pochi gli accessi, tanti i metri di dislivello da percorrere per arrivare nei posti interessanti da riprendere.
Mi sarebbe piaciuto "introdurre" questo fantastico Parco, riprendendo le montagne da lontano. Un modo di raccontare a cui spesso ricorro. Con la cartina alla mano cerco i luoghi più interessanti da cui potenzialmente poterle riprendere.
Conosco molto bene un fantastico balcone panoramico da cui le Bellunesi si mostrano in tutta la loro grandiosità: dal Monte Borgà o ancora più in là, dagli strani e suggestivi Libri di San Daniele, nel cuore delle "mie" Dolomiti Friulane. Andare lassù, in questi giorni, in questa stagione non è proprio il massimo. Non ci sono punti di appoggio e il dislivello da affrontare è davvero esageratamente impegnativo per il mio stato di attuale di forma e per gli impegni futuri che dovrò affrontare per l'Altro Versante durante questa lunga estate. La mia ricerca alla fine approda nel paesino bellunese di Lentiai, pochi chilometri da Belluno. Da tempo avevo in mente di recarmi, proprio in questa stagione, nei pascoli sommitali, poco sopra il borgo, in località Pian di Coltura.
Qui a metà maggio si può assistere ad una delle più intense fioriture di narcisi osservabile in Italia.
Un'occasione ghiotta per far scoprire un posto non molto conosciuto e allo stesso tempo avere come sfondo le selvagge Dolomiti Bellunesi.
Parto da casa molto presto e in circa un'ora e mezza sono, come previsto, sul posto.
E' un'alba incerta, sembra che il sole non abbia voglia di svegliarsi. Profili e vallate ingabbiati in una nebbiolina azzurra, le vette nascoste da nuvole cariche di pioggia. Faccio fatica a vedere dove sono i narcisi, anzi, mi viene qualche dubbio che proprio ci siano. Poi, poco prima di parcheggiare la macchina, con la poca luce presente, li vedo biancheggiare in mezzo all'erba. Non mi sembra ce ne siano poi così tanti. Mi incammino lungo la stretta rotabile che taglia la dorsale di questo bucolico altopiano. Una curva e punto deciso verso dei prati in cui la fioritura sembra essere più consistente. All'istante capisco perchè non mi trovo davanti quel paesaggio che avevo immaginato. Le piogge insistenti dei giorni scorsi e le temperature piuttosto miti hanno fatto crescere in modo esagerato l'erba e quindi i narcisi sono nel pieno della loro fioritura ma l'abbondante verde presente smorza l'effetto "wow" del loro apparire.


Oggi sono un pò come il sole. Spesso risento della condizione di luce presente quando fotografo. Mi sforzo di guardare, di trovare uno spunto valido, mi sembra tutto così banale. Ricorro per ultimo ai trucchi del mestiere, al bagaglio di esperienza che porto con me.  Il sole timidamente compare all'orizzonte. Letteralmente mi tuffo nell'erba bagnata e cerco di sfruttare quei pochi momenti che so di avere a disposizione. All'altezza dei narcisi è ancora più difficile: ciuffi d'erba toccano la lente dell'obiettivo, alcuni fiori sono già appassiti, bisogna trovare insomma un'inesistente ordine compositivo nella realtà di un caos così evidente. Un processo mentale difficile da acquisire.
A tal proposito c'è un istruttivo e confortante libro scritto da un grande della fotografia naturalistica degli anni '90, Jan Töve, Beyond Order, che vi consiglio caldamente di leggere (solo in inglese).
Le immagini fatte fin'ora sono piuttosto intime, fanno vedere i narcisi da vicino. Sfugge l'ampiezza del paesaggio. Il sole è già piuttosto alto ma decido che il resto della giornata la dedicherò a questo tipo di composizioni, più aperte.
Il tempo passa veloce. Verso le dieci faccio un ultimo scatto. Una composizione di 3 immagini orizzontali che poi unirò in post-produzione per far solo intuire la bellezza del paesaggio che ho davanti.
Ripongo l'attrezzatura nello zaino e mentalmente mi riprometto di tornare nella primavera prossima, magari un pò di giorni prima, sperando in un paesaggio totalmente bianco di.... profumati narcisi.

Bruno D'Amicis - La Grava di Vesalo e le gole del fiume Calore, Parco Nazionale del Cilento – Vallo di Diano, Campania.


















«Chi non risica non rosica», afferma il noto proverbio. Fotografando la natura, quando si tratta di ricercare un soggetto elusivo o un punto di vista inusuale, si sa che un po' di rischio ci vuole sempre. Fa parte del mestiere e, diciamocelo, anche un po' del fascino di questa attività.
Ma il senso costante di pericolo che ho provato zompettando sulle pietre umide e scivolosissime delle forre o sulle balze di roccia del Parco Nazionale del Cilento – Vallo di Diano (PNCVD per brevità) in compagnia del mitico Maurizio Biancarelli era di un altro livello e la dice lunga sulla missione che abbiamo condotto di recente insieme. Una missione o, meglio, una piccola avventura, tutta fatta di superlativi.



Innanzitutto il PNCVD è un'area protetta grandissima (la seconda per estensione in Italia), di fronte alla quale è emersa subito la necessità di operare una dolorosa selezione dei siti da visitare per l'Altro Versante. “Spaccando” il Parco in tre parti, abbiamo scelto sei siti da fotografare, numero all'apparenza realistico in base ai giorni di viaggio a disposizione. Abbiamo iniziato dal suo cuore e in particolare dai dintorni di Laurino e Felitto, dove ci siamo dedicati alla splendida Valle Soprana, con le sue foreste e il misterioso inghiottitoio della Grava di Vesalo, per poi passare alle gole del fiume Calore.
Percorrendo una stradina che sale da Laurino siamo arrivati all'alba nel punto dove sapevamo fosse la Grava, ma senza le indicazioni di alcune persone del luogo, non l'avremmo mai trovata. Sembrava un bosco come altri (splendidi in quest'inizio di primavera!), lungo un torrente come altri (tutti incantevoli!), eppure eravamo ignari della sorpresa che ci attendeva.
Abbiamo localizzato la Grava di Vesalo dal rumore dell'acqua. Sbalorditi abbiamo ammirato prima dall'alto e poi da vicino questa grotta che scende verticalmente nel cuore della montagna per oltre cento metri in cui, con due (quelle visibili!) cascate, si gettano le acque del torrente: sembrava la porta di accesso a un mondo ipogeo, freddo e muscoso, attraverso cui si entra senza poter fare ritorno.
Una cosa era ammirare la Grava, un'altra fotografarla. Un piccolo balcone di roccia offriva l'unico punto di vista interessante dove tentare di rendere il senso del luogo. L'acqua precipitava in una piccola marmitta prima di sparire nel buco. C'era però poco più di un metro per fare manovra e le rocce erano ricoperte di materiale organico bagnato e scivoloso come sapone. Il secondo superlativo che mi veniva in mente per definire questa missione era "pericolosissima".



Il primo turno è stato di Maurizio, che non sembrava avere problemi nel lavorare sul margine dell'orrido e che era tutto contento perché aveva appena individuato una bellissima salamandra pezzata sulle sponde del torrente. 
Quando è toccato a me, ho tolto gli scarponi, poiché nonostante il gelo preferivo mantenere un contatto diretto con la roccia, e mi sono mosso con lentezza da gasteropodo. Avanzavo centimetro dopo centimetro fino ad arrivare a vedere il fondo del primo salto. Ho montato la macchina sul treppiedi, assicurandone la cinghia. Tutto era instabile e potevo cadere da un momento all'altro. La prospettiva di un salto di cento metri nell'acqua gelida e di un difficilissimo recupero da speleologi rafforzava la mia autodisciplina. Non c'era margine d'errore. Dopo una ventina di minuti e la consapevolezza che forse non valesse la pena di rischiare ulteriormente, abbiamo deciso di ritornare sui nostri passi.


Il Cilento è terra di notevole carsismo, ma anche di acque superficiali. Da qui nascono fiumi selvaggi come il Bussento, il Sammaro (di cui parleremo prossimamente) e il Calore.
Per alcuni, quest'ultimo nome è sinonimo di lontra e non è stato un caso che i nostri angeli custodi in questa missione cilentana siano stati proprio degli esperti di questo splendido animale. Romina Fusillo e Manlio Marcelli sono due vecchie conoscenze e due biologi romani che da tempo hanno scelto di vivere in Cilento per studiarne l'abbondante popolazione di lontra e che hanno fondato una società, la LUTRIA snc, che si occupa di ricerca e conservazione degli habitat fluviali, qui come nelle regioni circostanti. Grazie ai loro consigli e alle preziose indicazioni, io e Maurizio abbiamo potuto individuare i punti migliori dove fotografare le gole del Calore e dove tentare (invano) di osservare la lontra.
Pur conoscendo molte gole scavate da altri fiumi italiani ancora selvaggi, posso dire che nulla regge il confronto con la monumentale opera d'arte che le acque del Calore hanno intagliato nelle sponde calcaree. Chilometri di massi giganti, sponde accidentate che sembrano bocche di squali, placche di erosione che generano cascate e rapide, correntine e gorghi con cui giocano le acque assolutamente blu di questo bellissimo (terzo superlativo!) corso d'acqua. Le sue rive odorano di macchia mediterranea e degli spraint della lontra. I rospi si riproducono dove l'acqua è più calma e il merlo acquaiolo nidifica nei punti più inaccessibili, risalendone il corso con il volo teso e rapido, come abbiamo potuto osservare di persona durante le nostre esplorazioni. È una fonte di stimoli senza fine per il fotografo, che rischia seriamente di impazzire nel cercare di immortalarne tutti gli angoli.

Vorrei tanto proseguire in questo racconto continuando a snocciolarvi altri superlativi positivi, ma devo fermarmi qui. Questa missione in Cilento infatti è stata anche molto triste.
Risalendo il corso del Calore, a monte delle sue splendide gole e in particolare sotto il paesino di Valle dell'Angelo, io e Maurizio abbiamo assistito attoniti all'insospettabile stato di degrado che affligge questo fiume. Una vera e propria discarica a cielo aperto infatti sorge nei pressi del paese e i suoi rifiuti vengono portati via dalle acque del Calore. In questo tratto le sue sponde sono letteralmente ricoperte di immondizia, che va dai sacchetti di plastica alle reti dei letti.
Il morale dei giorni precedenti ovviamente è sceso rapidamente a zero, quando ci siamo resi conto che qui come altrove alla bellezza di un luogo spesso non risponde alcuna consapevolezza da parte di chi lo abita. Io e Maurizio abbiamo riflettuto sul significato di un progetto come il nostro. È il fatto di essere nel cuore di un Parco Nazionale di certo non aiuta a smorzare il dolore di questa amara esperienza.



Maurizio Biancarelli- Tra Alcantara e Argimusco, Sicilia






Le acque dell'Alcantara scorrono veloci tra le colonne basaltiche delle omonime Gole

Ha piovuto molto nei mesi scorsi e durante tutto l’anno passato, mi spiega Natale Giamboi, l’area a monte è di natura argillosa e due affluenti importanti convogliano limo in continuazione nelle acque dell’Alcantara. Ecco perché nelle Gole il fiume è color nocciola; e non c’è molta speranza di vederlo cambiare almeno sino alla fine di maggio. Siamo nella prima decade di aprile e quindi capisco che bisogna per forza trovare un’alternativa. 
Ma Natale, guida escursionista esperta dei luoghi non si tira indietro e mi dice che, provando a monte, le possibilità di trovare acque limpide, canyons  e rocce spettacolari non mancano di certo. E’ anche una buona occasione per evitare luoghi arcinoti, già presi d’assalto da un certo numero di turisti, anche se il grosso delle visite arriverà puntuale con la calura estiva.
Di buon mattino ci rechiamo quindi in esplorazione e, attraversando le rive ammantate di una intricata boscaglia di verdi ferule e bianchi asfodeli fioriti, giungiamo in prossimità del fiume. 
Natale aveva ragione, il luogo è assolutamente da fotografare ma cercare il giusto sentiero tra la fitta vegetazione è stata impresa non facile, il tempo è passato veloce e la luce migliore se ne è già andata. Non importa, stasera dormirò col camper qua vicino e domattina, all’ora giusta, sarò nel punto prescelto per le riprese.
L’aiuto di di Natale e di Diego Leonardi, che purtroppo ha avuto un incidente alla gamba e mi ha potuto seguire solo a distanza col telefono, si rivelano preziosi. Non avrei potuto trovare così facilmente dei luoghi suggestivi e poco noti del fiume. Approfitto volentieri della loro proverbiale disponibilità, che  arricchisce dal punto di vista umano questa mia missione siciliana, e rende il lavoro per L’Altroversante un’esperienza a tutto tondo. Mi fanno domande sul mio lavoro e sul progetto, mi danno suggerimenti e raccontano storie. Apprezzo il calore della comunicazione diretta in tempi di relazioni virtuali.
La mattina dopo mi sento sicuro di ritrovare il sentiero verso il fiume, ma la mia sicurezza vacilla quando comincio ad addentrarmi nella giungla verde di alte ferule e asfodeli che impedisce da ogni lato la vista. Sbaglio subito, al primo colpo. 
Non demordo e, dopo alcuni tentativi, vinco la resistenza della vegetazione e giungo in un bel punto del fiume. Bello, ma non è lo stesso che avevo visitato con Natale. E’ comunque un altro posto che vale senz’altro la pena di fotografare e non indugio oltre, la luce calda dell’alba sta arrivando.





Dopo alcuni giorni di fotografie a rocce ed acqua mi sento soddisfatto e ho voglia di provare qualche altro soggetto. 
Approfitto di un suggerimento di Natale che mi ha indicato la riserva naturale del Bosco di Malabotta. E’ a circa un’ora di strada, la curiosità è molta e decido di andare a perlustrare la zona. 
Nel bosco mi accolgono cerri e faggi ancora spogli, siamo oltre i mille metri e la primavera è stata finora piuttosto fredda. Provo col sentiero dei patriarchi e li trovo dopo qualche chilometro: cerri dai tronchi massicci rivestiti di muschi dominano, tra altri alberi che non reggono il confronto, la sommità di un colle posto difronte alla mole innevata dell’Etna. 
Mi piacciono subito ma la luce non è giusta, fantastico di fotografarli dopo la pioggia, magari con un velo di nebbia, ma ora è tutto molto diverso e qualche tentativo poco convinto fa comparire nel monitor della macchina fotografica immagini deludenti.  
Prima di tornare indietro, alcune grandi rocce in cima ad un colle colpiscono la mia attenzione. Sono a poca distanza dalla strada principale: una stradina sterrata si inerpica verso le strane forme rocciose e salendo scopro, con mia sorpesa, uno dei luoghi più affascinanti che mi sia capitato di incontrare: Le Rocche di Argimusco. 

I Megaliti di Argimusco al tramonto
A cavallo tra Nebrodi e Peloritani questo sito è un luogo ancestrale, costellato di megaliti dalle forme antropomorfe e zoomorfe. Sono blocchi di arenaria di varia grandezza, qualcuno superiore ai dieci metri d’altezza, scolpiti dall’azione erosiva degli elementi naturali.   
Si sa che, fin dall’antichità, Argimusco è stato visitato e utilizzato dall’uomo per riti sacrali, sepolture ed osservazioni astronomiche. 
Il panorama è a 360 gradi: verso sud l’Etna, ad est colline, a nord le isole Eolie, ad ovest il degradare delle montagne verso Palermo. La luce bassa dell’alba e del tramonto colpisce le rocce, le cui sagome in controluce mettono in risalto profili misteriosi come quello dell’Aquila, o della Fanciulla orante, del Serpente, del Sacerdote, del Mammuth. 

"L'aquila" e, sullo sfondo a destra, Rocca Novara all'alba



Misteriosi profili al tramonto, Argimusco
Ammaliato, ho passato quassù alcune notti, cullato dal gracidio notturno delle raganelle, approfittando della luce di albe, tramonti e crepuscoli per scoprire e fotografare una ad una le inquietanti figure che da millenni troneggiano in cima al colle.
Qualcuno ha definito l’Argimusco la Stonehenge di Sicilia. Di sicuro l’aura di misteriosa sacralità che vi aleggia non lascia indifferenti, ci collega al passato lontano, ma lascia anche aperti dubbi e interrogativi sul futuro prossimo. 
Riusciremo a trovare la giusta armonia tra le esigenze delle nostre energivore società e quelle  di salvaguardia del mondo naturale, delle sue risorse, del suo equilibrio generale? 
I profili  dei rilievi che circondano Argimusco, costellati di pale eoliche, sono prova evidente di quanto questo dilemma non sia di facile soluzione. 
E il tempo stringe.