Luciano Gaudenzio - L'immagine raccontata: un caldo abbraccio, Trentino

L'abbraccio del grande abete, Villa Welsperg, Val Canali, Parco Naturale di Paneveggio e Pale di San Martino

Carlo ci sta attendendo proprio fuori Villa Welsperg, Val Canali.
La neve sta cadendo abbondante e non ci vuole proprio dare tregua.
Sono cinque giorni infatti che siamo ospiti per la nostra missione sul gruppo delle Pale di San Martino e la neve arriva ormai quasi ad un metro di altezza.
E' quello che speravamo, una nevicata intensa ed abbondante per riempire d'inverno, quello vero, i nostri cuori, i nostri occhi, le nostre immagini. Adesso però vorremmo avere, anche se breve, una piccola tregua per poterci godere questo spettacolo naturale. Madre Natura però non ci ascolta e usciti dalla macchina per dare la mano e presentarci alla nostra guida, spazzola letteralmente il nostro viso con gelide folate e fiocchi di neve a dir poco, enormi.
Carlo, come tutte le persone che abbiamo incontrato in questi giorni, è  gentile ma soprattutto sa fare il suo lavoro. Incamminandoci lungo il sentiero che dalla Villa, sede principale del Parco Naturale di Paneveggio e Pale d San Martino, porta verso il laghetto Welsperg ci racconta con gli occhi pieni di passione, la storia di questi luoghi, della loro prorompente biodiversità, degli sforzi che il Parco sta facendo per tutelarli e farli conoscere ad un numero sempre maggiore di visitatori.
Marco, il regista, assieme alla troupe si ferma affascinato a riprendere le radici esposte e ricoperte da un muschio centenario di due vecchi faggi. Io e Carlo andiamo oltre fino ad arrivare ad una radura dove ben evidenti spiccano alcuni esemplari di abete bianco.
Sembrano antichi guardiani. Solitari, si ergono al limite di un piccolo bosco di prevalente pino nero.
La nevicata si intensifica e sotto un piccolo ombrello cerco di riprenderne le forme scure che si protendono verso un cielo color latte. E' molto difficile riuscire ad "armeggiare" con l'obiettivo decentrabile sotto una simile bufera, ma faccio del mio meglio e Carlo prontamente mi dà una mano offrendosi di tenere l'ombrello.
Ogni tanto mi guarda sorridendo. Non si trattiene più e mi invita ad andare sotto le fronde dell'abete. A dire la verità, mi era balenata l'idea di farlo, poi preso dalle mille suggestive situazioni fotografiche che stavo affrontando mi era sfuggita quella remota e curiosa intenzione.
Entro e la bufera che impazza all'esterno cessa all'improvviso. L'abete mi protegge così come avrà fatto altre centinaia di volte con gli animali selvatici che numerosi vivono in questo ambiente. Che spettacolo! Uno spazio grandissimo qui dentro, inimmaginabile dall'esterno. Un tetto di rami incrociati che sembrano volerti abbracciare. Inizio a fotografarli anche se mi rendo conto che sarà difficile trasferire in immagini le emozioni che sto provando.
Vorrei tanto stare qui a lungo. E' come essere accolti in un caldo abbraccio. Non proprio fulmineamente mi libero da questa sensazione, poi svogliatamente, metto la testa fuori e vedo Carlo ancora con il mio ombrello in mano che pazientemente mi sta aspettando.
Sono sicuro, che in quei momenti si sarà pentito mille volte di avermi dato quel consiglio. Io invece ho scoperto un mondo intimo e prezioso che, anche grazie alla passione e agli sforzi di persone come Carlo, continuerà a stupirci ed emozionarci.





Maurizio Biancarelli - L'immagine raccontata : in riva all'Alcantara, Sicilia



Camminando lungo le rive del fiume ha attratto la mia attenzione una sporgenza della roccia con una piccola cavità tondeggiante, una “marmitta” piena di ciottoli e completamente allagata dalle piogge recenti. 
Ho subito pensato ad un bel primo piano da sfruttare per un ritratto del corso d’acqua.
Mi sono avvicinato con un grandangolo alla piccola pozza, che nel mirino risultava in bella evidenza sullo sfondo del fiume e ho chiuso il diaframma a f/16 per ottenere adeguata profondità di campo dal primo piano alla cascatella più lontana.
Ho usato un filtro degradante neutro per ridurre il contrasto tra le rocce illuminate e quelle in ombra insieme ad un filtro neutro da 6 stop per allungare  i tempi di scatto ed avere il flusso dell’acqua completamente mosso e al polarizzatore che ha eliminato la maggior parte dei riflessi dalla superficie della polla.
I nostri occhi e la macchina fotografica vedono il mondo in maniera diversa. I filtri sono utili per eliminare o ridurre queste differenze e far sì che l’immagine finale sia perfettamente aderente alla visione del fotografo. 
Nel mio caso intendevo evidenziare la luce calda e radente del primo mattino e il piacevole contrasto tra il mosso dell’acqua e le forme nette, solide della roccia.
Materia liquida, senza forma propria, soffusa l'acqua, ma in grado di incidere anche la pietra più dura. È solo questione di tempo.




























Bruno D'Amicis - L'immagine raccontata: un piccolo, grande fiore - Parco Nazionale della Majella, Abruzzo

Androsace mathildae, o androsace (uno non sa mail se mettere l’accento sulla “o” o sulla “a”…) abruzzese in italiano, contrariamente al nome altisonante, in realtà è una piantina minuta e poco vistosa. Un paio di centimetri di altezza in tutto: una rosetta basale di foglioline lanceolate, color verde-oliva, e dei fiorellini bianco-latte dalla consistenza carnosa. Non si direbbe mai che questa specie dall’aspetto così fragile abbia il coraggio di vivere al di sopra dei 2700 metri, sfidando venti fortissimi e condizioni proibitive, rannicchiata tra i bastioni di roccia delle vette più alte dell’Appennino e in nessun altro luogo al mondo.

Ovvio che, durante la mia missione condotta nel Parco Nazionale della Majella, volessi ritrarre questa pianta e inserirla nel mio ritratto della "Montagna Madre”, perché a mio avviso avrebbe trasmesso il senso del luogo come e se non più di un intero paesaggio. L’ho cercata quindi sulle preistoriche scogliere che delimitano le cime più alte, trovandone una mezza dozzina. Erano tutte interessanti, ma io cercavo l’archetipo.

Su una minuscola cengia, a strapiombo sulla Valle Cannella, ho localizzato la più bella di tutte. Sembrava
sedere su un piccolo trono calcareo; le lingue di neve in scioglimento sullo sfondo. 
Unico problema: mi sarei dovuto sporgere di un metro nel vuoto per fotografarla. Ho dovuto lavorare d’ingegno. Mio fratello che mi accompagnava si è attaccato alla mia cintura controbilanciandomi. Ho montato un obiettivo grandangolare decentrabile per guadagnare qualche centimetro e con il live view della macchina ho potuto fotografare semplicemente allungando le braccia. Infine, il perfetto tempismo di un raggio di sole ha coronato il tutto, permettendomi di mettere in evidenza il soggetto rispetto allo sfondo in ombra.


Maurizio Biancarelli - Cavagrande del Cassibile, Sicilia

La luce dell'alba filtra tra grandi nuvole, Cavagrande del Cassibile
Una regione non puoi certo giudicarla dopo venti giorni scarsi di permanenza. Ma un’impressione la ricevi comunque. Mi ha colpito la generosità, delle persone e della terra. 
Una terra senza compromessi, dove il bello e il negativo di un Paese straripante di bellezza, ma afflitto da mali endemici insoluti da decenni sembrano concentrarsi. 
Rifiuti troppo spesso abbandonati, case che aspettano chissà da quanto di essere completate accanto a una natura prorompente, a colori squillanti, alla campagna verde e quieta, a profumi intensi. Origano, acetosella, rosmarino, salvia e tante altre piante aromatiche assorbono tutta l’energia del sole per restituirla sotto forma di fragranze che stordiscono. Al ritorno da ogni escursione gli scarponi si riempiono dello “sciauro” di tutto quello che hanno sfiorato o calpestato.

Alba su Cavagrande del Cassibile
Mi ha sorpreso la varietà dei paesaggi visitati: la prima tappa è stata Cavagrande del Cassibile, il canyon più profondo degli altipiani iblei, scavato dal flusso abbondante e limpido del fiume omonimo, un connubio di natura e testimonianze storiche scolpite nella imponente roccia calcarea della spettacolare Grotta dei Briganti, abitata da antiche popolazioni preistoriche e poi, in tempi non troppo lontani, dai briganti.
Ben visibile da lontano non è facilmente accessibile, nascosta com’è da sentieri scoscesi avvolti da una vegetazione legnosa, tenace, fornita di spine acute pronte a ghermire e strappare qualunque cosa passi nelle vicinanze. 


Con Gianluca nella Grotta dei briganti
Piuttosto impegnativo e difficile da raggiungere è anche il Fosso Calcagno, una serie di limpide pozze e marmitte, più attraenti dei ben noti “laghetti”, meta estiva di numerosi turisti in cerca di refrigerio dal caldo delle spiagge.
Cavagrande è un canyon profondo e il dislivello non è irrilevante quando devi portare uno zaino zeppo di attrezzatura, lo sa bene la mia caviglia che è ancora gonfia per uno stiramento dei tendini. 
La disponibilità di Gianluca, Fabio e Salvo è stata fondamentale per potermi muovere in questo ambiente, e raggiungere a colpo sicuro i diversi punti panoramici. Insieme hanno costituito l’associazione Cavagrande del Cassibile (www.cavagrandedelcassibile.it), volta alla salvaguardia e alla giusta promozione di questo angolo di natura siciliana; nel loro sito è possibile avere informazioni e prenotare escursioni guidate.

Giochi della corrente sul fiume Cassibile
Nel giugno del 2014 un incendio aveva distrutto un’area vasta e il paesaggio, mi raccontava Gianluca, era deprimente. A distanza di quasi un anno la natura ha curato le ferite e il verde ricopre di nuovo i pendii, anche se i segni dello scempio sono ancora visibili.
Ho passato una settimana dormendo col camper nella quiete solenne delle notti del Cassibile, interrotta solo dal sibilo del vento, scegliendo di volta in volta diversi punti strategici, muovendomi spesso su sentieri appena segnati dal passaggio delle capre, pieni di ciottoli. Ogni volta, dal fondo saliva il rumore attutito delle acque veloci del fiume, smeraldo puro incastonato nella roccia. 
Verso nord gli altipiani verdi, densi di vegetazione e, sullo sfondo lontano, la mole imponente del grande vulcano, ancora ammantato di neve. Ogni tanto, tra le nuvole, appariva l’ampio cono troneggiante dell'Etna, elemento distintivo del paesaggio di una ampia porzione dell’isola.

Luce temporalesca su Cavagrande
L’aquila del Bonelli era di casa qui e nidificava su pareti inaccessibili, ora è purtroppo estinta sin dagli anni ottanta del secolo scorso. Uccisione diretta per ottenere esemplari da imbalsamare (!) e disturbo durante la riproduzione sono state le cause principali.
Il falco pellegrino è nidificante, mentre incerta, anche se probabile, è la presenza del lanario. Il bellissimo colubro leopardino, pur raro, frequenta i pendii sassosi più appartati.
Tra le piante, da menzionare la presenza del platano nella fascia ripariale e quella di una interessante, rara felce a distribuzione tropicale e subtropicale, la Pteris vittata, oltre ad un buon numero di specie di orchidee e alla palma nana, endemica del Mediterraneo.

Gheppio in fase di atterraggio sulla falesia